


La prima tappa di un cammino è sempre un misto di tante cose: la voglia di iniziare il percorso che si sta per intraprendere, una sorta di eccitazione per posti nuovi da vedere, curiosità di conoscere chi saranno i compagni che affronteranno con me tanti kilometri.
La Via Francesca della Sambuca è un cammino un po’ atipico, ma è anche il cammino del cuore: atipico perché lo propongo sempre a tappe, una al mese, e poi del cuore perché è stata la mia tesina d’esame al corso per diventare GAE.
Un percorso riscoperto da relativamente poco (era il 2010), che apparteneva ad un’antica viabilità complementare alla Via Francigena che serviva ai pellegrini (ma anche ai briganti, ai mercanti, a chiunque dovesse arrivare dall’ Emilia alla Toscana) per arrivare a Pistoia, luogo in cui si trovava una reliquia di San Jacopo: un frammento della scatola cranica incidentalmente fornita di un ciuffo di capelli del Santo.
Si parte da Bologna e si arriva a Pistoia in cinque tappe, tutte diversissime tra loro, ma tutte bellissime; il filo conduttore è San Giacomo che unisce i due capi di questo cammino. Tutti i pellegrini del mondo hanno san Giacomo come protettore.: è il patrono per eccellenza, l’umile pescatore di Galilea, chiamato da Gesù tra i primi apostoli sulle sponde del Lago di Tiberiade; il discepolo dal carattere tanto focoso da essere appellato Boanerghes, il figlio del tuono, insieme a suo fratello Giovanni (l’Evangelista). San Giacomo è il pellegrino che l’iconografia ci rappresenta vestito con mantellina e petaso, con la conchiglia cucita sulle vesti e il bordone in mano; che nelle leggende soccorre i suoi protetti quando le difficoltà del cammino stanno per sopraffarli.
Per la prima tappa si parte da Bologna e allora mi immagino essere quindi un pellegrino, con bisaccia e bordone, ed essere arrivato in questa grande città, che si chiama Bononia, mi guardo intorno stupito e meravigliato: sono a Bononia e sono nel Medioevo!
Nel medioevo, Bologna, come tante altre città, era costruita quasi interamente in legno. Dalle abitazioni agli iconici portici, il legno era il materiale più utilizzato nell’edilizia per via della sua facile reperibilità e grande versatilità.
Tuttavia, l’uso massiccio del legno comportava anche diversi problemi: come ci insegna l’incendio di Roma, la combustibilità del materiale rendeva le città medievali estremamente vulnerabili. Un singolo incendio poteva distruggere completamente interi quartieri cittadini, compromettendo la sicurezza degli abitanti e causando gravi perdite economiche. Gli edifici lignei e l’utilizzo di braci e fiamme vive per qualsiasi attività quotidiana, dal riscaldamento alla cucina, erano una combinazione letale. Fra i più distruttivi, si ricorda l’incendio del 1141, che divorò gran parte del centro urbano. Per far fronte a questa minaccia, già in epoca romana esistevano i Vigiles. Questo ordine era stato costituito dall’Imperatore Augusto nel 6 d.C., con lo scopo di tenere sotto controllo gli incendi. Armati di siphones, una sorta di idranti con tubature di cuoio, i Vigiles riuscivano a spegnere le fiamme prima che dilagassero. In epoca medievale, a Bologna, il loro ruolo viene ricoperto dai brentatori: Il termine “brentatori” deriva da “brenta”, recipienti in doghe di legno di buona capacità portati a dorso, che generalmente venivano utilizzati per trasportare il vino dalle campagne alla città. L’importanza del loro ruolo nella lotta agli incendi nel Medioevo a Bologna era cruciale, essi rappresentavano una vera e propria squadra di pronto intervento che si occupava di spegnere le fiamme e cercare di limitare i danni causati dagli incendi. I brentatori erano selezionati tra i cittadini più abili e forti perché dovevano affrontare un lavoro fisicamente impegnativo. Indossando un’apposita cintura in cui appoggiare questa brenta in legno con una capacità di 70 litri d’acqua, si recavano il più velocemente possibile sul luogo dell’incendio. Nonostante le difficoltà e i rischi a cui erano sottoposti, i brentatori, svolgevano il loro compito con grande impegno e dedizione. Nonostante l’evoluzione delle tecniche antincendio nel corso dei secoli, il loro ruolo nella storia di Bologna rimane un esempio di coraggio e spirito di sacrificio. Grazie al lavoro dei brentatori e di altre figure professionali coinvolte nella prevenzione e nel combattimento degli incendi, molte città medievali sono riuscite a proteggere le loro costruzioni in legno e a minimizzare i danni causati dagli incendi.
Ma la Bologna medioevale è anche una città che inizia a costruire le opere che poi la renderanno celebre nel mondo : è la città dell’ Università, l’Alma Mater Studiorium, nata nel 1088. E’ una città dove le ricche famiglie iniziano a costruire le torri: nel 1109 si costruisce la torre della famiglia Degli Asinelli, qualche mese dopo si inizia a costruire la Torre della famiglia Dei Garisenda. Bologna diventa la città delle torri (secondo lo storico Finelli, in città si contano 180 torri) con il conseguente aumento dei rischi: il 7 maggio 1201 una torre collassa precipitando sulle case sottostanti e causando la morte di 37 persone.
Bologna è anche (e soprattutto) la città dei portici: nel 1288 viene emesso dal Comune un bando per regolamentare i portici che da tempo venivano costruiti spontaneamente dai privati. Il bando promulgava che nessun edificio doveva esserne privo: le misure minime dovevano essere di almeno 7 piedi bolognesi (2,66 metri ) e larghi altrettanto , doveva riuscire a passarci un uomo a cavallo , permettevano di dare riparo a commercianti e studenti dalle intemperie e dalle strade fangose, i primi portici avevano le colonne in legno di quercia , successivamente divennero in muratura, oggi dopo secoli i portici rimangono una caratteristica di Bologna unica al mondo con una estensione di 38 km solo nel centro storico .
Ma Bologna è anche la Grassa, e allora vediamo cosa avrei mangiato se fossi passato da Bologna in un giorno qualunque del Medioevo, in cui probabilmente avrei trovato il mercato. Un mercato affollato e rumoroso, in cui le grida dei venditori di ferri vecchi, stoffe, ceste, pentolame, vetri e altri mille oggetti, si mischiavano a quelle di chi proponeva gli alimenti più vari. Nel mercato si potevano trovare alimenti di ogni genere: carne e pesce sotto sale, affumicati, essiccati. E anche, nonostante la diffidenza relativa alla freschezza, si poteva trovare il latte (di mucca, ma soprattutto di pecora e capra), il quale però arrivava inacidito e sporco dopo un lungo viaggio sui carri o sui panieri appesi alla schiena del venditore: si preferiva perciò il latte di mandorle, che non rischiava di decomporsi. Popolarissimi sono i formaggi, sia freschi e grassi sia vecchi e pressati; più raro trovare il burro, venduto quasi sempre salato.
Per cuocere si usa il grasso di maiale in tutte le sue forme (lardo fresco, strutto); per condire le insalate si usa l’ olio d’oliva, di noci o nocciole, di lino o di papavero. In tempo di pace, il mercato offriva anche una serie di servizi che consentivano di mangiare a buon mercato a quanti (pellegrini, viaggiatori) avevano problemi di denaro o non disponevano di uno spazio per cucinare: oltre al pane, il fornaio cuoceva arrosti e focacce, dolci secchi, frutta e creme cotte. Quindi nel Medioevo, la gente mangiava più o meno quello che mangiamo oggi: tutte le verdure (ad esclusione dei pomodori), i cereali ( ma non lo sconosciuto mais), i legumi ( ma non i fagioli) e non conoscevano le patate. Si mangiava tutta la frutta tranne le arance, i mandarini e gli esotici ananas, mango, papaia.
Ci sono due ortaggi che sono i veri re della tavola: il cavolo e la rapa. Il cavolo era l’ ingrediente principe di tutte le zuppe contadine e costituiva un pasto completo. La rapa, sfamava uomini e animali, veniva coltivata con i cereali e si prestava a varie preparazioni.
Il pane più desiderato era quello bianco, lasciando ai contadini il pane fatto con il miscuglio (miglio, avena e farro): curioso come ora, invece, sia il pane nero quello più ricercato nei negozi. E cosa mi sono portato da bere nella mia bisaccia? Nel Medioevo si beve acqua, latte, cervogia, birra, sidro e vino. L’acqua è accessibile a tutti e non costa niente, il latte rappresenta il nutrimento essenziale per il bambino. In mancanza di vino si beve la cervogia, una specie di birra fatta con orzo e avena fermentata. I monaci, che conoscono molto bene le erbe medicinali, introducono il luppolo, e si passa quindi alla birra vera e propria. Ma la bevanda principe del Medioevo è il vino. Il vino di qualità è riservato alle classi più agiate, mentre il popolo doveva accontentarsi di vini di bassa qualità, dal costo decisamente più abordabile. Il vinello destinato alle classi meno ricche era un vino ottenuto con la spremitura dei rimasugli della vendemmia, il più delle volte era semplicemente aceto allungato con acqua.
E adesso, pronti per scoprire la seconda tappa?
#PiediStanchieCuoreFelice
Testo e foto Fabrizio Borgognoni
Febbraio 2025
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