Vita da pellegrino: una giornata alle Terme

Le ultime due tappe della Via Francesca della Sambuca sono interamente dedicate all’ Appennino, anzi al “mio” Appennino. Si arriva a Pistoia attraversando boschi che, grazie alle piogge della primavera, sono di un verde incredibile, si attraversano piccoli borghi che spesso nessuno conosce ma che sono di una bellezza disarmante, si parla di mulini e di castagne, di montanari orgogliosamente tenaci che non lasciano il paese dove sono nati, cresciuti, vissuti.

Ma soprattutto si parte da Porretta Terme, con quel piccolo gioiello che è la Ferrovia Porrettana, una delle più grandi opere realizzate dal nuovo Regno d’ Italia, iniziata nel 1861 e terminata nel 1864. Il primo tronco aperto al pubblico fu Bologna-Vergato (1862): due corse con partenza rispettivamente alle 7,35 e alle 19,10 arrivavano a Vergato alle 9,15 e alle 20,50; i passeggeri una volta arrivati a Vergato venivano fatti scendere e con un servizio di diligenza venivano portati prima a Porretta e poi a Pistoia. Che avventura doveva essere viaggiare!

Tutta la linea venne inaugurata il 2 novembre 1864 e fu considerata un elemento fondamentale dell’ unificazione nazionale: “Da oggi i gioghi dell’ Appennino sono varcati dalla locomotiva, e da Torino a Livorno in 14 ore di cammino, viaggiatori, merci e prodotti dell’ agricoltura porteranno la prosperità e la vita in mezzo alle popolazioni rigenerate dal sole e dalla libertà”, così recita il commento entusiasta riportato sui giornali.

La stazione di Porretta, anzi dei Bagni della Porretta- diventerà Porretta Terme solo nel 1931-, divenne la stazione più importante di tutta la linea e ben presto Porretta si scoprì famosa in tutta Italia, anche perché tutti i treni si fermavano piuttosto a lungo, per permettere di attaccare in coda ai convogli una locomotiva aggiuntiva, indispensabile per superare le pendenze del 25 per mille del tratto fino a Pracchia, per poi scendere a Pistoia. La stazione dei Bagni divenne famosa anche per l’apertura di un buffet, che preparava i cestini per i convogli che passavano intorno al mezzogiorno: cestini che contenevano pastasciutta appena cotta e ancora bollente: c’è chi sostiene che questo fu uno dei primi buffet a distribuire il pranzo ai viaggiatori, un’ invenzione modernissima per quei tempi. Forse l’ idea di consumare i pasti in viaggio è nata proprio a Porretta!

La Strada Porrettana (che da Porretta verso la Toscana si chiama Via Leopolda) e la Ferrovia diedero nuovo impulso vitale ai Bagni della Porretta con un sensibile sviluppo urbanistico: fino ad allora, l’abitato si estendeva solo nel cono verso il Rio, terminava a nord con la Porta Bolognese, mentre verso la Toscana era chiuso dalla Porta Fiorentina.

Le terme della Porretta divennero famose, con una forte espansione soprattutto nell’ Ottocento, grazie anche ad una Guida, “Guida dei Bagni della Porretta e dintorni”, stampata per ben tre volte (1886,1894,1910): autore un porrettano- Demetrio Lorenzini-, proprietario della farmacia ma soprattutto un erudito, con interessi culturali molto ampi, tra cui la storia, l’erboristeria, l’ idrologia.

Terme pubblicizzate che divennero famose anche perché furono le prime in Europa ad introdurre le cure inalatorie nel 1878 e con l’introduzione di un sistema di pompaggio diretto delle acque termali, permise anche un notevole aumento  del numero dei bagni che si potevano praticare ogni giorno: si passò dai pochissimi di inizio Ottocento a ben 80 bagni alla fine del secolo.

Per mettere Porretta al passo con i più moderni centri termali, nel 1890 venne avviata la produzione dell’energia elettrica: grazie ad una turbina si potè produrre energia per illuminare con lampade ad incandescenza tutto il paese e la stazione ferroviaria. Per chi ama le statistiche, nel 1896 solo i Bagni della Porretta e Budrio erano illuminati ad energia elettrica.

Non c’erano molti alberghi a Porretta, la ricettività era concentrata nelle locande, nelle camere, nei villini, in genere situati fuori dal paese, molto eleganti ed affittati ai villeggianti (basti ricordare il Villino Corazza lungo la strada per Bologna o il Villino Monari dietro l’ ospedale Costa). Nella Guida di Lorenzini, vengono così descritte: “Le case sono comode, pulite, ed alcune anche eleganti. Con buone locande. I forestieri vi trovano agio e conforto. I dintorni offrono amene passeggiate ove si può ammirare il maestoso spettacolo degli alti Appennini. Ottimo il vitto, modico il prezzo.”

Alla fine dell’ Ottocento fu costruito l’ Hotel Porretta (poi Collegio Albergati), prima elegantissima struttura, sviluppata su tre piani nata con lo scopo di fare turismo: divenne il luogo più esclusivo della villeggiatura porrettana. Pochi anni dopo, nel 1905, sarebbe stata costruita una nuova, elegantissima struttura: l’Hotel Helvetia e le cronache dei giornali sono un lungo elenco di eventi e di personaggi illustri che frequentano le Terme: ricordiamo solo Guglielmo Marconi, insieme con la madre, assiduo frequentatore documentato nei registri dei bagnanti (così si chiamavano i frequentatori delle Terme).

L’elegante vita era segnata da serate da ballo, che si svolgevano nel piazzale delle Terme Alte o al Club delle Terme, vero centro mondano della colonia villeggiante. Ogni settimana si tenevano concerti, suonavano le due bande locali, serate a teatro: il Teatro Comunale era un piccolo gioiello del Settecento, con venti palchi e la platea. Costruito nel 1772 dal conte Girolamo II Ranuzzi , sorgeva dove ora si trova il palazzo comunale.

Ma queste acque così famose, così importanti come state scoperte? Per scoprirlo basta guardare lo stemma comunale di Porretta su cui campeggia un bel bue, eletto ad emblema della cittadina perché, secondo la tradizione, fu proprio un bue a scoprire le acque termominerali salsobromoiodiche e sulfuree, molto efficaci per la cura di diversi malanni.

Leggenda vuole che ad un contadino porrettano si ammalò un bue in modo molto grave, così grave che la povera bestia non riusciva a reggersi sulle zampe, ormai pelle ed ossa, con la pelle addirittura  chiazzata di pustole e con tutti i malanni: fegato corroso, polmoni malandati, occhi purulenti.

Una persona pietosa lo avrebbe ucciso, ma il contadino non se la sentiva; in fondo voleva bene a quel bue, suo unico aiuto per coltivare la misera terra. Così prese la decisione di liberarlo e di lasciarlo andare a morire dove voleva: lo liberò e vide la sagoma dell’animale allontanarsi, convinto che mai lo avrebbe rivisto.

Era un bue che non si era mai allontanato dalla sua stalla e quindi si mantenne nei paraggi, girovagando senza meta, brucando l’ erba sulle rive del Rio Maggiore; fino a quando, assetato per la febbre e la stanchezza, s’avvicinò ad una sorgente. Accostò il muso all’ acqua e ne bevve parecchie sorsate, apprezzando la freschezza e la forza che ogni sorsata gli trasmetteva. Visto che l’acqua gli sembrava veramente  buona, decise di rimanere lì vicino, anche perchè nei pressi c’erano altre sorgenti altrettanto buone e fortificanti.

In pochi giorni, per effetto dei poteri salutari che queste acque avevano, incominciò ad ingrassare, scomparvero le piaghe e gli occhi ritornarono lustri e vivaci.

Un bel giorno, decise di ritornare alla sua vecchia stalla di cui aveva nostalgia; quando il padrone lo vide stentò a riconoscerlo e non sapendosi spiegare il mutamento dell’animale, decise di seguirlo per scoprire il segreto.

Viste le sorgenti alle quali il bue si abbeverava, volle anche lui assaggiare l’ acqua e comprese.

Da quel giorno le sorgenti incominciarono ad essere frequentate dagli abitanti della zona e da quelle vicine; la fama si sparse anche in Toscana e i fruitori delle acque aumentarono; nacquero le terme e i porrettani si coccolarono il loro bue risanato come se fosse un eroe mitico, adottandone l’ effige quale simbolo della città.

#PiediStanchieCuoreFelice

Testo e foto Fabrizio Borgognoni

Maggio 2025

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