Chiapporato, il borgo perduto

Ogni primavera, da ormai qualche anno, mi piace tornare a Chiapporato, un borgo sperduto nei boschi al confine tra Emilia e Toscana.

Per raccontare Chiapporato, bisogna raccontare la storia della famiglia che abitava nella prima casa che si incontra arrivando nel borgo, dopo essere salito alla croce di Geppe ed essere scesi lungo un bel sentiero in un castagneto che chissà come era bello quando i montanari lo curavano perché da quel bosco sarebbe arrivato il pane..pan di legno, pane di castagne, consumato da generazioni di montanari.

Arrivando nel borgo, si incontra subito il forno e a sinistra si trova la casa forse meglio conservata di Chiapporato perché abitata fino al 2014 da due donne, le uniche due persone che non hanno lasciato Chiapporato quando tutti andavano via.

Una storia che parte da lontano, dal 1600, quando Chiapporato inizia ad essere un borgo: come tanti borghi nasce perché bisogna deforestare, togliere il bosco per farne campi e allora si costruiscono le case con quello che la montagna offre: legno e pietre. Sono tutte così le case di Chiapporato: legno e pietra, che resistendo sfidano il tempo che passa.

La vita a Chiapporato non doveva essere facile: si vive di agricoltura e di pastorizia, ma i campi rendevano sempre meno e allora si incomincia ad emigrare, a far carbone in Maremma, lasciando nel borgo per i lunghi mesi invernali solo le donne, gli anziani e i bambini che non possono essere portati a far carbone. E i carbonai che arrivano da questo angolo di Appennino sono carbonai che sanno il mestiere, molto ricercati in Maremma. E qualche volta dalla Maremma, non si torna perché si è trovato una fidanzata che poi diventerà moglie e si lascerà il borgo per trasferirsi altrove. O si torna, ma malati. Malati di un brutto male, come recita l’incisione su una tomba, una delle poche rimaste nel cimitero di Chiapporato con l’iscrizione ancora leggibile :”Tornato da Maremma con un brutto male”.


E poi, la storia di Chiapporato è la storia di Zelia, Adumas e Vilma. Ho provato tante volte ad immaginarmeli, passando davanti alla loro casa, con ancora le tende alle finestre.

Per me, appassionato di libri di Loriano Macchiavelli e Francesco Guccini, Adumas lo ritrovo nelle pagine di “Malastagione”: è il vecchio montanaro, un po’ brontolone e scorbutico, ma sempre rispettoso del bosco, del borgo, delle sue montagne. Il nome, ma questa non è finzione è realtà, fu scelto da suo padre Giuseppe, uomo che -siamo nella metà dell’ Ottocento e lui lavora alla costruzione della ferrovia porrettana-sa leggere e far di conto. Lavora tutta la settimana, giù a valle dove passano i binari e torna in paese solo il sabato per poi ripartire la domenica notte, e il suo unico svago dal lavoro è la lettura dei Tre Moschettieri. Quando nasce suo figlio, quale può essere il nome adatto? Athos? Porthos? Guarda la copertina del suo libro, A. Dumas, ma per lui per puntino non vuol dire nulla e quindi Adumas sia.


Adumas morirà nel 1980, sorpreso da una bufera di neve. Avrà visto, negli anni precedenti, passare la guerra poichè la linea Gotica non è poi così lontana da Chiapporato e avrà visto il borgo spopolarsi, piano piano ma inesorabilmente, con i ragazzi che vanno a lavorare in valle e al paese non tornano più.

Resteranno solo Zelia e Vilma, in paese. Un paese in cui non arriva la luce-arriverà solo nel 2005 grazie ai lavori di restauro della chiesa-, non c’è il telefono e si può sopravvivere con orto, conigli e galline.


Io me la immagino così Zelia, fiera e risoluta come solo i montanari sanno essere. Testarda a non voler lasciare casa sua nonostante il sindaco (che periodicamente saliva a Chiapporato per assicurarsi che le due donne stessero bene) le avesse garantito che, se si spostava in paese, giù a valle, le avrebbero dato un bel appartamento. E mi sembra di vederla, con grembiule e foulard in testa, rispondere al sindaco -anche questa non è finzione- che lei, a lasciare le sue comodità, non ci pensava proprio.

Zelia ci ha lasciato nel 2014 e Vilma si è convinta a lasciare Chiapporato; il borgo ormai è desolato, la natura si sta riprendo spazio e i tetti cominciano a crollare. Un silenzio irreale, un borgo perduto.


Testo Fabrizio Borgognoni

 

Per ritrovare Adumas: F. Guccini-L. Macchiavelli “Malastagione”-Mondadori 2011